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6 aprile: a 100 anni dalla nascita del giornalista Eugenio Scalfari

Riccore il 100esimo anniversario dalla nascita di Eugenio Scalfari (Civitavecchia, 6 aprile 1924 – Roma, 14 luglio 2022), considerato uno dei più grandi giornalisti e scrittori italiani del XX secolo, contribuì, con altri, a fondare il settimanale l’Espresso ed è stato fondatore del quotidiano la Repubblica.

Tra le prime esperienze giornalistiche di Scalfari c’è Roma Fascista, organo ufficiale del GUF (Gruppo Universitario Fascista), mentre era studente di giurisprudenza, di cui nel 1942 divenne anche caporedattore.

All’inizio del 1943, scrive una serie di corsivi non firmati sulla prima pagina di Roma Fascista in cui lancia generiche accuse verso speculazioni da parte di gerarchi del Partito Nazionale Fascista sulla costruzione dell’EUR. Questi articoli portarono alla sua espulsione dai GUF e dal Partito per opera di Carlo Scorza, allora vicesegretario del PNF.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale entra in contatto con il neonato Partito Liberale Italiano, conoscendo giornalisti importanti nell’ambiente. Nel 1950, mentre lavora presso la Banca Nazionale del Lavoro, diventa collaboratore, prima a Il Mondo e poi a L’Europeo, di due personalità che spesso richiama nei suoi scritti: Mario Pannunzio e Arrigo Benedetti. Ricorderà poi, con orgoglio, di essere stato licenziato dalla BNL per una serie di articoli sulla Federconsorzi non graditi alla direzione.

Nel 1955 partecipa all’atto di fondazione del Partito Radicale, cui è vicesegretario fino allo scioglimento nel 1961. Nello stesso anno nasce il settimanale L’Espresso: Scalfari è direttore amministrativo e scrive articoli di economia.

Nel 1976 dopo aver già tentato di creare un quotidiano insieme a Indro Montanelli, Scalfari fonda il quotidiano la Repubblica, che debutta nelle edicole il 14 gennaio di quell’anno. L’operazione, attuata con il Gruppo L’Espresso e la Arnoldo Mondadori Editore, apre una nuova pagina del giornalismo italiano. Il quotidiano romano, sotto la sua direzione, compie in pochissimi anni una scalata imponente, diventando per lungo tempo il principale giornale italiano per tiratura. L’assetto proprietario registra negli anni ottanta consolidamenti della posizione dello stesso Scalfari e l’ingresso di Carlo De Benedetti, nonché un vano tentativo di acquisizione da parte di Silvio Berlusconi in occasione della “scalata” del titolo Arnoldo Mondadori Editore.

Scalfari, abbandona il ruolo di direttore nel 1996, dopo che già da tempo aveva ceduto, insieme a Caracciolo, la proprietà a Carlo De Benedetti; gli subentra Ezio Mauro. Non scompare dalla testata del giornale, poiché continua a svolgere il ruolo di editorialista dell’edizione domenicale.

Dopo aver lasciato anche la sua rubrica domenicale su la Repubblica (il suo ultimo editoriale, datato 6 marzo 2022, aveva come tema il conflitto russo-ucraino), Eugenio Scalfari muore a Roma il 14 luglio 2022, all’età di 98 anni. La camera ardente si è tenuta il 15 luglio e il funerale laico il 16 luglio, entrambi nella sala della Protomoteca del Campidoglio a Roma. Le ceneri, per espressa volontà testamentaria, riposano nel cimitero di Rosta (TO), accanto alla prima moglie.

 

 

Il Piano Marshall, il grande piano di rinascita Europeo del secondo dopo guerra

Per ricostruire il Vecchio continente devastato dalla Seconda guerra mondiale fu lanciato lo European Recovery Program, più famoso come Piano Marshall, dal nome del Segretario di Stato americano che lo concepì, George Marshall (nato il 31 dicembre 1880).
Il presidente Truman lo firmò nel 1948. In circa quattro anni, gli Stati Uniti inviarono in Europa occidentale più di 13 miliardi di dollari di aiuti economici. Lo Stato che ottenne di più fu il Regno Unito, seguito dalla Francia. Il piano cessò ufficialmente il 31 dicembre 1951, in anticipo a causa dello scoppio della guerra di Corea. I Paesi dell’Europa orientale non avevano ricevuto fondi,

 

Italiani in Argentina: genesi di un’immigrazione di massa tra fine 800 ed inizio 900

La grande emigrazione ebbe inizio nel 1870, ed è strettamente legata ai processi di trasformazione che ebbero luogo nelle campagne italiane. I fattori scatenanti di questa ondata migratoria sono oggetto di un ampio dibattito storiografico.
In quegli anni ci fu un netto peggioramento delle condizioni di vita della popolazione italiana, che sarebbero state ancor più gravi se la pressione demografica non avesse trovato sfogo nell’emigrazione. Certamente non si possono neppure escludere, tra le motivazioni che spingevano ad emigrare, la volontà di tentare la fortuna, spesso sull’esempio di compaesani
Il fenomeno aumentò ancora tra il 1900 e il 1914, con una media annua di oltre 600.000 unità, con una punta di 873.000 nel 1913. Rilevante, nello stesso periodo, fu il numero dei rientri (150-200.000 all’anno), prevalentemente da Stati Uniti ed Argentina. Il periodo della guerra ridusse al minimo il movimento migratorio, che tuttavia riprese negli anni del dopoguerra su livelli ridotti (circa 200.000 fino al 1930, con una punta nel 1920 di 600.000), salvo poi diminuire su livelli inferiori alle 100.000 unità tra il 1930 e il 1940. Con il fascismo, si assistette ad una drastica riduzione, seguita da una prepotente emersione di quello che fu lo squilibrio interno tra popolazione e capacità produttiva. Nel periodo postbellico si ebbe un certo incremento, assorbendo il 30% degli espatri, ma ben più imponente fu la migrazione intraeuropea, che interessò circa 5.500.000 persone
L’Argentina è la meno americana delle repubbliche sudamericane. Rivendica il suo essere europea da sempre, almeno da quando, in seguito all’indipendenza dalla corona spagnola (1810), gli intellettuali – Alberdi[4] e Sarmiento[5] su tutti – cercarono di definire le categorie identitarie della recentemente formata nazione.
I viaggi della speranza degli emigranti italiani cominciavano da Genova che, insieme a Napoli e Palermo, era il principale porto di partenza. Non sorprende che il flusso avesse come protagonisti gli emigranti liguri, piemontesi e lombardi.
Il terzo censimento, risalente al 1914, fotografa una situazione in cui la nazionalità italiana è sempre la più numerosa, e presenta una “meridionalizzazione” del flusso, con circa il 40% degli arrivi provenienti dalle regioni del Sud.
Oggi, gli italiani residenti in America Latina, titolari di cittadinanza e di un passaporto italiani, sono 1.651.278 al 31 dicembre 2018[13]. Di questi, la gran parte è concentrata in Argentina (842.615 cittadini). Inoltre, su un totale di 4.304 iscrizioni AIRE[14], 1.285 (il 29,8%) di italo-discendenti dell’Argentina hanno ottenuto il riconoscimento della cittadinanza italiana. Nella sola Argentina del 2018, nonostante la crisi economica e la svalutazione monetaria, l’Italia ha esportato prodotti per più di un miliardo di euro[15].
Come ogni migrazione, anche quella degli italiani diretti in Argentina è una storia di relazione. La relazione degli emigranti con le comunità di origine – mantenuta con la corrispondenza, ma anche con il mantenimento delle ritualità, come le feste religiose, le celebrazioni familiari, i lutti – e quella con le comunità di arrivo, favorita nel caso dell’Argentina dalla “vicinanza” linguistica, dalla partecipazione alla vita economica e dall’assenza di particolari ostilità da parte della popolazione locale. È anche la storia delle relazioni politiche, economiche e culturali tra gli Stati di arrivo e di partenza.

A quasi 50 anni dall’esodo degli italiani dall’Eritrea

Ad agosto 1975 gli italiani dovettero fuggire dall’Eritrea. Il Derg, formalmente rinominato in Consiglio provvisorio militare amministrativo, rovesciò nel settembre del 1974 il governo dell’Impero d’Etiopia e dell’Imperatore Hailé Selassié durante proteste di massa, rendendo illegale la monarchia e adottando il marxismo-leninismo come ideologia politica.

Fino dal 1971 la comunità di Asmara, specie quella dei Concessionari agricoli, aveva avanzato richiesta al Governo italiano di rimborsare agli italiani il controvalore dei loro beni, che potevano essere defalcati dagli ingenti finanziamenti della Cooperazione che l’Italia elargiva a piene mani. Dopo la caduta di Hailè Selassiè i finanziamenti italiani continuarono, tra i quali i 4.000 miliardi di Lire concessi al Derg per combattere la carestia ed invece dirottati all’acquisto di armi per combattere contro l’Eritrea.

Quando i 5-6mila italiani rimasti in Eritrea capirono che non avrebbero avuto nessun futuro per i loro figli, decisero che fosse giunto il momento di rimpatriare. Ad Agosto 1975 Asmara era spettrale: in tutti i quartieri di Asmara non c’erano più italiani. I pochi che decisero di rimanere si rifugiarono in Cattedrale, nelle chiese, nei collegi, perchè iniziarono i bombardamenti. Gli italiani si dovettero accontentare di 1/10 di indennizzo dei loro beni, che fu dato solo a quelli che riuscirono a presentare una documentazione ineccepibile sulle proprietà. Dal 15 Novembre 1869, quando fu acquistata la baia di Assab, erano passati poco più di 100 anni.

Gli etiopici non consentirono ad effettuare i ponti aerei diretti dall’Eritrea con l’Italia, perchè bisognava prima passare per Addis Abeba. Gli aerei servivano per trasportare truppe etiopiche. “Ciao Asmara, Ciao” lanciava nell’etere l’ultimo messaggio di Radio Marina.

Ecco alcune testimonianze di chi visse quei tristi e pericolosi giorni dell’agosto 1975 che si prolungarono fino alla fine dell’anno.

Ragazzo parmigiano attaccato da uno squalo in Australia. Dopo l’intervento chirurgico sta meglio

Un ventenne di Parma, Matteo Mariotti, ha perso una gamba in Australia dopo essere stato attaccato da uno squalo mentre faceva il bagno nel Nord Ovest del Paese e ora i suoi amici parmigiani hanno lanciato una raccolta fondi perché il giovane possa sostenere le cure.

Intervistato dalla Gazzetta di Parma, Matteo ha ricostruito i tragici momenti dell’aggressione. “Venerdì – ha raccontato – erano le 16.30 e avevo appena saputo che mio nonno Giovanni era morto. Avevo bisogno di rilassarmi e ho pensato di fare un bagno non lontano dalla riva, ma dopo qualche passo nell’acqua, ho sentito una terribile fitta a un piede”. “Dal piede in un secondo è arrivato a tutta la gamba e ha cominciato a trascinarmi al largo – continua il racconto – Finché a un certo punto sono riuscito con le mani a prendergli la testa: ho cercato di allargare quella grande bocca e con fatica ho liberato la mia gamba, anche se dal ginocchio in giù capivo che non c’era più niente. Poi ho cominciato a nuotare verso la riva più veloce che potevo”.

 

Villa Verdi passerà allo Stato Italiano. Avviate le procedure

La villa appartenuta al grande musicista Giuseppe Verdi, a Sant’Agata di Villanova sull’Arda (Piacenza).circondata da un ampio parco progettato da lui stesso, passerà nelle mani del Ministero della Cultura. L’annuncio è stato dato dallo stesso Ministro.

Villa Verdi era la residenza dove tornava alla fine degli impegni di lavoro che lo portavano lontano, la casa in cui abitava con la seconda moglie, la celebre cantante lirica Giuseppina Strepponi. Le sale e le stanze custodiscono una parte preziosa della sua memoria: lo scrittoio su cui componeva, il letto a baldacchino, il pianoforte, i libri e gli spartiti, il busto-ritratto in terracotta eseguito da Vincenzo Gemito, i guanti utilizzati quando diresse la Messa di Requiem in memoria di Alessandro Manzoni, il suo celebre cilindro e gli arredi della camera dell’Hotel de Milan in cui spirò il 27 gennaio del 1901.

Grazie alla mossa del Ministero, ora nascerà una fondazione, di cui faranno parte anche la Regione Emilia-Romagna e i due Comuni di Villanova e di Busseto (Parma), per curarne la gestione. In arrivo anche un museo.

Frattanto, la Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le Province di Parma e Piacenza ha avviato il procedimento di dichiarazione di pubblica utilità, finalizzata all’esproprio, per il complesso di immobili costituito da Villa Verdi, a Sant’Agata di Villanova sull’Arda (Piacenza).

Villa Verdi diventa quindi un bene pubblico e, presto, diventerà sede di una fondazione e di un museo dedicato al più grande compositore italiano. Il Ministero della Cultura guidato da Gennaro Sangiuliano, dopo essersi confrontato con vari esperti e aver a lungo affrontato il caso, ha deciso di esercitare un esproprio per pubblica utilità sulla villa di Giuseppe Verdi a Sant’Agata di Villanova sull’Arda (Piacenza). La villa, all’asta per un contenzioso fra gli eredi, era finita da tempo al centro del dibattito. Gli eredi volevano circa 40 milioni, ma presto ne percepiranno nove.

La villa verrà riaperta su nuove basi per diventare un punto di forza per fare conoscere nel mondo l’artista: “gli appassionati di Verdi arriveranno da tutto il mondo” assicura Sangiuliano, nonché la ricchezza delle terre verdiane e le province di Parma e Piacenza. Già a inizio novembre di un anno fa, il ministro aveva organizzato un’ispezione con soprintendenza e carabinieri per controllare lo stato di conservazione della residenza, ed ora questo: “luogo di memoria collettiva” verrà restituito agli italiani.

Varie iniziative per i 60 anni dello Stadio Bentegodi di Verona.

Il 15 dicembre appena trascorso, lo Stadio Bentegodi di Verona, ha compiuto 60 anni dalla sua inaugurazione. Per l’occasione, oltre ad una serie inziative realizzate nelle ultime due settimane, la squadra di calcio del Verona Hellas Football Club, lo stadio rimane aperto per utto il week end dal 15 al 17,  per mostrare un percorso tematico completamente rinnovato e dedicato alla propria storia.

L’accesso allo stadio sarà libero e gratuito per tutti, con la possibilità di garantire l’accesso nella fascia oraria scelta attraverso una prenotazione sulla piattaforma Eventbrite. Anche senza prenotazione sarà possibile visitare lo stadio, senza però la garanzia di accesso all’orario di arrivo. Tutti i tifosi gialloblù e gli appassionati di calcio potranno iniziare il proprio percorso dal luogo in cui arrivano i pullman delle squadre, di fronte al cancello 25 del lato Ovest del Bentegodi.

Da lì la discesa nella “pancia” dello stadio, dove ad attenderli ci saranno pannelli realizzati appositamente per mostrare i progetti, la nascita e le evoluzioni che ha avuto il Bentegodi in questi sessant’anni di storia. Tappa successiva lo spogliatoio del Verona, allestito con le maglie dedicate all’iniziativa #BENTE60DI, per poi spostarsi nel già noto tunnel che racconta tutta la storia dell’Hellas, arricchito da una sala tutta nuova contenente alcuni cimeli legati alla storia dello stadio.

Da qui il passaggio in zona Pitch Box e in campo, per ammirare lo stadio in notturna dal punto di vista dei calciatori, per poi spostarsi nella VIP Lounge dove è stato allestito un percorso emozionale fatto con i ricordi personali delle migliaia di tifosi che hanno preso parte alla campagna “Cos’è per te il Bentegodi” sui canali digital del Club lo scorso ottobre.

Fu progettato dall’ing. Leopoldo Baruchello secondo una soluzione molto rara nel panorama degli impianti sportivi italiani, sovrapponendo tre ordini di scalinate. ed ha sostituito il vecchio e omonimo stadio comunale che era sito nella zona di piazza Cittadella. È dotato di una pista di atletica ad otto corsie.

Allo stadio Marcantonio Bentegodi il Verona Hellas ha festeggiato il suo primo ed unico scudetto nel 1985 nella partita del 19 maggio 1985 (Verona – Avellino 4-2), dopo aver raggiunto il traguardo matematicamente la settimana precedente del 12 maggio 1985 a Bergamo, col pareggio di 1-1 con l’Atalanta.

Lo stadio Marcantonio Bentegodi è tra i 10 impianti scelti per disputare la fase finale degli Europei 2032 se l’Italia verrà designata come paese ospitante della competizione.

Dopo 47 anni, l’Italia del tennis vince la Coppa Davis edizione 2023

A Malaga in Spagna, l’Italia del tennis conquista la sua seconda Coppa Davis dopo il Cile 1976. Jannik Sinner e i suoi compagni di squadra Lorenzo Sonego, Matteo Arnaldi, Lorenzo Musetti e Simone Bolelli hanno realizzato quello che sembrava impossibile qualche giorno fa. Corrado Barazzutti, Adriano Panatta, Paolo Bertolucci e Antonio Zugarelli erano stati gli eroi che 47 anni fa avevano vinto la prima Coppa Davis con la maglia italiana.

Nella sera di domenica 26 novembre, gli azzurri sono tornati sul tetto del mondo, battendo l’Australia 2-0. Partira decisiva vinta da Jannik Sinner, che ha battuto Alex de Minaur 6-3, 6-0 mentre Matteo Arnaldi aveva invece battuto Alexei Popyri 7-5, 2-6, 7-5.

La vera impresa, tuttavia, gli azzurri l’hanno fatta nella semifinale con la Serbia battendola 2-1 con l’impresa di Sinner che ha battuto Djokovic.

Decisiva la vittoria nel doppio di Sinner e Sonego, che piegano 6-3, 6-4 Djokovic e Kecmanovic, che aveva ottenuto l’unico punto per i serbi battendo Musetti.

Sinner aveva battuto Djokovic nel singolare con il punteggio 6-2, 2-6, 7-5 trascinando l’Italia nella finale, poi vinta, con l’Australia.

La squadra italiana è stata gestita da Filippo Volandri, ex tennista  che svolge un ruolo assimilabile a quello dell’allenatore, che in Coppa Davis viene definito di capitano non giocatore. Per il tennis la Coppa Davis è la cosa più vicina a ciò che sono i Mondiali negli altri sport: esiste dal 1900 e da allora si è disputata ogni anno, con l’eccezione degli anni delle guerre mondiali e del 2020 a causa della pandemia.

E’ stata definita da tutti la vittoria di squadra: il gruppo italiano è stato unito lungo tutto il cammino verso la finale di Malaga, pur se spiccano le prodezze di Sinner, numero 4 al mondo, che si è caricamento la squadra sulle spalle nelle partite decisive.

Piazze italiane piene per la giornata contro la violenza contro le donne

Si è celebrata nella giornata del 25 novembre la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Piazze italiane piene a testimoniare l’attenzione alta verso il problema della violenza contro le donne.

A pochi giorni dal femminicidio di Giulia Cecchettin che ha scosso tutta Italia, ha richiamato nelle piazze italiane tantissime persone: Il Colosseo a Roma è stato illuminato di rosso, colore simbolo contro la violenza alle donne, e la presenza nella capitale, secondo gli organizzatori era di circa 500 mila persone. Nella città di Milano si registrano 30 mila partecipanti al corteo; cortei anche in tanti altri capoluoghi di provincia.

La giornata internazionale contro la violenza sulle donne è stata istituita dall’Onu nel 1999, in ricordo delle tre sorelle Mirabal, deportate, violentate e uccise il 25 novembre 1960 nella Repubblica Dominicana.

Le sorelle Miraball nacquero fra il 1924 e il 1935. Fin da ragazzine si batterono contro la dittatura di Rafael Leonidas Trujillo. Fondarono il “Movimento Rivoluzionario del 14 giugno”, con il quale chiedevano democrazia per il popolo dominicano e diritti per tutte le donne.

Ma il 25 novembre 1960 le tre sorelle “mariposas”  (farfalle) vennero torturate e uccise dai sicari di Trujillo (il dittatore del Paese) e i loro corpi gettati in un dirupo per simulare un incidente. L’indignazione per la loro morte, che nessuno credette accidentale, sollevò un moto di orrore sia in patria che all’estero, ponendo l’attenzione internazionale sul regime dominicano.

I simboli contro la violenza donne, sono le scarpe e le panchine rosse. Le scarpe rosse rappresentano la battaglia contro i maltrattamenti e femminicidi e la loro storia nasce in Messico, a Ciudad Juárez, città tristemente nota per il numero sconcertante dei femminicidi avvenuti negli ultimi vent’anni.

La panchina rossa oggi viene utilizzata per dire no alla violenza, e nello specifico alla violenza domestica, per sottolineare come la violenza sulle donne avvenga spesso in contesti familiari alle vittime.

 

 

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